domenica 28 aprile 2013

Favuzzi frischi c’a muddica atturrata (Fave alla moda di Palazzo Adriano)

Questa ricetta della tradizione della cucina povera siciliana me l’ha insegnata una signora, per l’appunto originaria di Palazzo Adriano (paesino normanno vicino Palermo) che oggi non c’è più, appartenuta a quella generazione di contadini che sapevano come sfruttare al meglio i prodotti della terra.
È di facile preparazione e l’unica raccomandazione è quella di utilizzare prodotti freschi e di prima qualità.

Ingredienti:
500 gr. di favette fresche già sbaccellate; 250 gr. di mollica (in siciliano tale termine viene usato ad indicare il pangrattato); 150 gr. di caciocavallo stagionato grattugiato; 200 gr. di tuma o primosale di pecora; olio EVO; 3 spicchi d’aglio rosso (possibilmente di Nubia); sale e pepe.

lunedì 15 aprile 2013

Pasta ‘o furnu (Pasta al forno o - come qualcuno dice a Palermo - Pasta “col forno”)


Quando a Palermo si dice pasta al forno, la mente vola agli anelletti, pasta a forma di cerchietto che, si narra, sia stata prodotta ad imitazione degli orecchini delle donne africane. L’anelletto è l’attore principale, l’eroe epico di questo piatto ricchissimo. Combatte e si avviluppa in lotte corpo a corpo con tutti gli altri ingredienti con i quali si mescola, danza, si aggroviglia creando un prelibato campo da gioco tutto da mangiare.
 “A pasta o furnu” – anticamente “u pasticciu ’ri sustanza” è un cult della cucina palermitana e non ha “stagione”, può andare bene a Natale, per Pasqua, per la scampagnata del 25 aprile o del 1 maggio, ma anche a Ferragosto sotto l’ombrellone, davanti al mare. È un piatto trasversale che soddisfa i palati di chi è ricco e di chi non lo è, dell’intellettuale e del sempliciotto, di uomini, donne, vecchi e picciriddi (bambini).
La storia “rù pasticciu ri sustanza” va ancora una volta collegata agli Arabi, maestri negli sformati. Anche questo timballo, come tutte le ricette della tradizione, può essere considerato “piatto anti-crisi” visto che veniva realizzato riciclando ciò che rimaneva in dispensa, abitudine che in un certo qual modo permane visto che spesso ci “cafuddiamo” (schiaffiamo) dentro quello che abbiamo in casa. Fondamentali però sono due cose: “’u ragù c’a carni capuliata” (il ragout con il tritato), possibilmente arricchito con i piselli, e la quantità: non si fa mai per poche persone e, se dovesse rimanere, anche saltata in padella la sera o il giorno dopo ha "il suo perchè".

Come per tutte le altre ricette della cucina siciliana anche di questa non ne esiste una sola versione, ma tante quante sono le famiglie palermitane. Io vi scrivo la mia.